C’è voluta l’esternazione in prime time di un attore comico di talento, Maurizio Crozza, per riportare (fugacemente, temo) all’attenzione di un pubblico vasto il problema della chiusura di numerosi teatri e, più in generale, del sotto-finanziamento della cultura e delle arti in Italia. Su ateatro.org si può consultare un elenco, purtroppo in costante aggiornamento, di situazioni d’emergenza e dissesto finanziario, dal nord al sud del paese. Il mescolarsi della crisi economica con la prolungata e colpevole incuria politica genera una specie di notte in cui tutte le vacche sono nere: nessuno si sente personalmente responsabile dei singoli problemi, ma ciascuno esercita irresponsabilmente il diritto all’invettiva e alla lamentela. Eppure, noi che da tempo lavoriamo in teatro sappiamo benissimo che il possibile imminente crollo del sistema ha anche cause interne: sostanziale collusione delle classi dirigenti con la politica, conservatorismo mascherato da retorica progressista, falsa coscienza che alimenta profitti privati. Sta a noi far funzionare il teatro in maniera diversa, rendendo evidente la sua necessità, anziché limitarci a proclamarla. Affinché ciò avvenga, è necessario che ci sia un dibattito pubblico e trasparente sulle priorità da affrontare. Perché è evidente che non servirà a nulla difendere genericamente “i teatri”, ma ogni battaglia d’opinione avrà delle tante più chance di successo quanto più sarà ben mirata e motivata. Vorrei dare un piccolo contributo a questo auspicabile dibattito, con una riflessione sulla città in cui lavoro e su un’importante sala che non ha chiuso, ma – peggio – è finita in una specie di limbo.
A Milano ha cessato l’attività lo Smeraldo e altri storici teatri privati, come il San Babila, sono a rischio; d’altra parte, l’offerta di spettacoli in città negli ultimi anni si è paradossalmente moltiplicata, dato che il Franco Parenti e l’Elfo sono diventati multi-sale, mentre proliferano spazi di dimensioni piccole o medie, che si sostentano tramite attività didattica, auto-mecenatismo, lavoro gratuito. Sul versante del teatro pubblico, l’impegnativo restauro del Lirico, di proprietà del comune, non può partire per mancanza di fondi. Ma ciò che io trovo veramente grave è la scomparsa nel http:\\/\\/renatogabrielli.ita, senza alcuna spiegazione, di un ente come il Centro di Ricerca per il Teatro; e che siano attualmente senza una vera programmazione sia lo storico Salone CRT che l’importantissimo Teatro dell’Arte, anni fa dato in mano, con esiti molto discutibili, alla Triennale.
Il CRT – cui sono legato da bei ricordi professionali, dato che ho iniziato lì, nei primi anni novanta, la mia attività di drammaturgo – è stato per decenni uno dei centri di ricerca teatrale più rilevanti, e relativamente meglio sovvenzionati, d’Italia. Certo, da tempo, e anche prima della scomparsa del suo fondatore Sisto Dalla Palma, era in visibile declino. Ma com’è possibile che sparisca così, lasciandosi alle spalle una mezza stagione al Salone e il vuoto al Teatro dell’Arte, di cui fino all’anno scorso organizzava, sia pur parzialmente, la programmazione? Le voci di corridoio parlano di gravi difficoltà economiche e falliti tentativi di “salvataggio”. Ma bisognerebbe finirla, con le voci di corridoio, e spiegare pubblicamente cos’è successo. Dal punto di vista legale, potrebbero anche essere solo affari di chi possiede il CRT; però – pur senza indulgere alla retorica ormai imperante sui “beni comuni” – è giusto sottolineare che il suo destino è d’interesse pubblico. Se il CRT non riesce a sopravvivere, a Milano mancherà un ente teatrale forte che non sia direttamente nelle mani di una compagnia o egemonizzato da un regista. Va bene così, a tutti? Oppure non va bene, ma è inevitabile e bisogna rassegnarsi?
Intanto il Teatro dell’Arte – un gioiello architettonico rimasto tale malgrado un lungo restauro di fine millennio che ne ha vergognosamente rovinato l’acustica – ospita spettacoli e performance di qualità solo in rare occasioni (per esempio, una pièce di Jerôme Bel per il recente festival Uovo). Sulla sua gestione da parte della Triennale questo articolo di Renato Palazzi, datato 2011, non mi pare che abbia ancora ricevuto risposte ufficiali. Mi sbaglierò, ma restituire pienamente uno spazio di tale importanza storica e di tali potenzialità al teatro e alla città di Milano dovrebbe essere, qui, una priorità assoluta. Forse gli enti pubblici di competenza hanno già delle idee o dei progetti per tirarlo fuori dal limbo; in tal caso, sarebbe bello che li condividessero, aprendo un’opportuna discussione nel merito. Solo uno sforzo di trasparenza e apertura dialettica, da parte di tutti, può aiutarci a ridare credibilità a un mondo teatrale che rischia di finire – per dirla con belle parole non mie – “non con un rombo, ma con un lamento”.