– Diamo le spalle (non ti voltare) a questo edificio.

– Quale edificio?

– Non ti voltare. Un edificio qualunque, in apparenza. Oppure no. Oppure si capisce subito quel che è, a cosa serve – sempre se serve a qualcosa.

– E cioè?

– Ci abbiamo lasciato il corpo, lì dentro.

– Addirittura.

– Il mio, il tuo.

– Non l’avevo notato.

– Succede.

– È strano.

– Succedono tante cose strane, misteriose, quando si parla di /

– Ancora?

– Sì, ancora.

– Ne stiamo parlando ancora, di /

– Per un’ultima volta.

– Quante volte ci siamo detti che era l’ultima?

– L’importante è che non ci voltiamo. Che ce lo siamo messi alle spalle.

– Io non mi volto di certo, volevo solo vedere /

– Non c’è niente da vedere che non abbiamo già visto.

– Già, già.

– È un teatro all’italiana, comunque. Forse.

– Uno di quelli antichi? Coi palchi e tutto?

– Piccolo, però.

– Certo. Quelli piccoli sono i miei preferiti.

– Anche i miei.

– Aspetta, però. Mi viene un dubbio. Forse non è poi così antico; anzi, è abbastanza moderno, l’avranno costruito trenta o quarant’anni fa, non tanto grande, neppure questo, ma adatto a tante cose moderne. A pianta centrale, tipo.

– Bella, la pianta centrale!

– Sì, non ci sono quinte, non c’è sipario, è tutto esposto a trecentosessanta gradi dentro a un circolo di sguardi.

– Tutto esposto – cosa?

– Per esempio?

– Per esempio.

– I nostri corpi. Non ti voltare.

– Però mi imbarazza che il mio corpo /

– Sì, è imbarazzante. Ma anche, certe volte, entusiasmante.

– Lo è stato, certe volte?

– Sì, perfino quando, anzi soprattutto quando, come questa volta, l’edificio non è nemmeno un teatro, ma una stanza che si fa chiamare teatro, con venti sedie, otto fari su piantana, nessuna uscita di sicurezza, mixer audio accanto al cesso.

– Ah, che nostalgia! Il teatro di ricerca…

– Il sedicente teatro di ricerca.

– Sono rimasti lì, i nostri corpi? Sudati, esposti, imbarazzati, entusiasti?

– Può darsi. O nel teatro all’italiana, o nel teatro a pianta centrale, o in tutti e tre, in diverse età, in diversi imbarazzi. L’importante è non voltarsi, fare un passo in avanti, fare un passo più lontano.

– Passi di fantasma, inutili e leggeri.

– Voglio andare più lontano, non li voglio più sentire, quei due.

– I nostri corpi stanno dialogando.

– Sì, perché c’hanno pure le voci, abbastanza bene impostate, e vogliono dimostrare, chissà poi a chi, di avere la voce impostata e addirittura qualcosa da dire.

– E in effetti ce l’hanno. O no?

– Non ascoltare. Non ti voltare.

– Secondo me è piuttosto interessante.

– Cosa? Questo dialogo?

– Ha un discreto ritmo, dai, bisogna ammetterlo /

– Aspetta! Ho capito. L’hai scritto tu.

– No, no /

– Confessa!

– Ma per chi mi prendi? Io gli impegni li rispetto. Un addio è un addio. Basta coi dialoghi, abbiamo detto, basta con il teatro. Ogni dialogo è inutile, lo dimostra la vita di tutti i giorni, lo dimostra la Storia, lo dimostra /

– Va bene, va bene, ti credo. Voglio crederti. Anche perché questo dialogo – devo proprio dirtelo – oltre a essere ovviamente inutile, è pure brutto.

– Brutto? In che senso?

– Nel senso di scritto male. Tanto per cominciare, non c’è conflitto /

– Ah, ah, ah!…

– Perché ridi?

– Questo lo dici tu. Che non c’è conflitto. Il conflitto c’è e non c’è, è una… Ecco, più che un conflitto è una tensione sotterranea… Una corrente d’ambiguità… Carsica… Inquietante…

– Lasciamo stare. E comunque non si capisce chi siano i personaggi, che oltretutto non hanno obiettivi /

– Gli obiettivi, gli obiettivi!… Che palle, gli obiettivi!

– Ma cosa fai /

– Che palle, i personaggi!

– Cerchi di inventarti un conflitto verso il finale, così, alzando la tensione con un battibecco a casaccio?…

– Scusa.

– Non è da te.

– Non è da noi. Infatti, anche per questo il tuo obiettivo è il mio obiettivo.

– Scomparire.

– Scomparire.

– Anche per questo /

– Siamo all’addio.

– Perché ti sei voltato indietro? Chi si è voltato indietro? Non avresti, avrei, avremmo dovuto farlo. Un vecchio corpo brucia ancora, entusiasta, imbarazzato, non si estingue, sulla scena vuota.