– Liberi, finalmente!
– Eh, sì.
– Eh, già.
– Abbiamo detto, dato l’addio a tutto ciò cui bisognava dire, dare /
– Addio. Ma lei?
– Lei! Che ci fa ancora qui?
– Cioè lì, seduta da sola a un tavolino di bar, mano bianca delicatissima abbandonata sul ripiano, occhi chiari che guardano altrove?
– Boh. Avrà un appuntamento.
– Mica con noi, però.
– Ah, no, no.
– Perché io sono sicuro, ma proprio sicuro, che le abbiamo già detto addio /
– Come alla gioventù, alla nostra gioventù.
– Quante volte?
…
– Quant’è bella!
– Non è bella. O meglio, non conta che sia bella. Può essere bruna oppure bionda, alta oppure bassa. Di solito gli occhi sono chiari, ma anche questo non è fondamentale. L’importante è che sia pallida. Altrimenti non sarebbe lei. Altrimenti non sarebbe /
– Il suo pallore. L’inconfondibile sfumatura sempre cangiante tra rosa tenue e latteo bianco della sua pelle, che ci incanta /
– Che ci incantava.
– Certo, certo. Il suo pallore, dicevo /
– Della pelle del polso morbidamente appoggiato sul bordo di quel tavolino. Della pelle della nuca. Della pelle delle caviglie, delle /
– Il suo pallore, insomma, va detto, è pallore del corpo, ma anche e soprattutto dell’anima.
– Dell’anima? In che senso?
– Boh.
– Non ha senso.
– In effetti. Dicevo così, per dire.
– Sei confuso.
– Siamo sempre confusi e diciamo, pensiamo cose a caso, quando ci troviamo davanti, dopo l’ennesimo addio, nonostante tutti gli addii che ci siamo dimenticati, di nuovo lei – per un’ultima volta /
– La Smorta.
…
– Che cosa renda, volta per volta e transitoriamente, una giovane donna la Smorta non può essere chiarito, definito, precisato, perché sta proprio lì, nella qualità opaca e vaga dei gesti, delle intenzioni, dei contorni del corpo, la sorgente perpetua e misteriosa del suo fascino smorto. Però /
– Però si può dire con certezza che cosa la Smorta non è.
– Malgrado il suo intimo rapporto con l’oscurità, non è una dark lady.
– Anche se il fato continua a farcela incontrare, non è una femme fatale.
– La sua pigrizia ha qualcosa di felino, ma non è una gatta morta.
– Ah!… Noi potremmo, forse dovremmo scrivere, un lungo, definitivo, tombale saggio sul tema della Smorta, e invece /
– Ancora una volta /
– Senza parole, a bocca semiaperta, a occhi sgranati /
– Da lontano, di sbieco /
– La osserviamo mentre aspetta un caffè o una birra o qualcuno /
– Te?
– Me?
– Noi?
– E ci batte ridicolmente il cuore invecchiato, il cuore bambino.
…
– Dai, andiamo.
– Via?
– Ma no. A salutarla.
– Sei pazzo? E cosa le diciamo?
…
– Quel che non le abbiamo mai detto.
– E cioè?
…
– E poi le diciamo addio.
– Ancora?
– Oh, no! Guardate!… Mentre stavamo esitando /
– È arrivato Qualcun Altro.
– Arriva sempre sul più bello Qualcun Altro e si siede al tavolino davanti alla Smorta, tranquillamente, senza nemmeno sapere che è la Smorta /
– Ma è proprio grazie a questa sfacciata ignoranza che è così tranquillo e ordina anche lui un caffè o una birra e se ne stanno lì disinvolti a chiacchierare, quei due /
– La Smorta e Qualcun Altro /
– Qualcun Altro e la Smorta /
– E poi si alzeranno e se ne andranno senza pagare il conto /
– Noi di nascosto li seguiremo /
– Cauti, da lontano /
– Li vedremo entrare in una sala da ballo /
– Mano nella mano /
– Danzeranno tra echi e sussurri di promesse vaghe /
– Progetti, speranze, sogni /
– Di mille gioventù che abbiamo dismesso /
– Noi, coro discorde e muto /
– Noi, un fantasma.