– La noia, la noia della noia, la noia della noia della noia, ma prima ancora di sapere cosa vuol dire “noia” l’abbiamo vissuta nella sua forma più indicibilmente pura qui, al mare /

– Non è bello qui, il mare /

– E si somigliano tra di loro e con se stessi nel tempo i cosiddetti stabilimenti balneari /

– Ma non è questo che ci annoia, che ci annoiava di quel tedio gratuito, squisito e radicale /

– E allora cosa?

– Braghini corti, braghette da bambino mollicce d’acqua salsa un po’ sporca, di sabbia, di filamenti d’alghe marroni. Tra la prima e la seconda secca, tra molta gente, sotto il sole cocente. Ripartiamo da qui.

– Per andare dove?

– Nei soliti posti, per i soliti tragitti – ti sei spalmato sul solito corpo (piccolo, poi medio, poi grande, poi troppo usato) la solita /

– Crema solare?

– Crema solare, noia, crema solare, un bambino smarrito di nome X è atteso dai suoi genitori al bagno 12.

– Un bambino X della generazione X, nel bel mezzo degli anni settanta.

– Una generazione sempre bambina, ignara del piombo degli anni tutt’intorno, immersa a bagnomaria tra una secca e l’altra di questo mare basso e sporco, o nel guardare partite di flipper in un angolo del Bar Azzurro /

– Il flipper, la noia, il flipper /

– Senza trovare il coraggio di metterci una monetina, di giocare in prima persona /

– Andiamo via /

– Sì, diciamo addio a questa lunghissima battigia, battuta e ribattuta a piedi nudi dal porto alla foce del fiumiciattolo Ausa, dalla foce del fiumiciattolo Ausa al porto, per ingannare un tempo che pareva illimitato /

– Che noia, che noia pazzesca /

– Dai, risaliamo verso l’interno su una passerella di cemento arroventata (ma meno rovente della sabbia) attraverso decine di file d’ombrelloni. Andiamo a bere un po’ d’acqua alla fontanella.

– Ma alla fontanella c’è una coda di bambini ovviamente insopportabili, che si lavano i piedi, si schizzano a vicenda, riempiono fino all’orlo pistole e fucili ad acqua /

– E tu aspetti, aspetti il tuo turno grondando sudore, con le ascelle appiccicose, con la mente semi-allucinata /

– E pensi a Jean-Paul Sartre. Pensi a Martin Heidegger.

– Sì, penso che quei due un’esperienza del genere non l’abbiano mai vissuta. Altrimenti chissà che cosa avrebbero scritto – sarebbero andati ben oltre l’esistenzialismo – o forse non avrebbero scritto nulla – avrebbero intuito, gettati al mondo davanti a ‘sta fontanella (ci sono ancora quattro bambini davanti, in coda) – avrebbero capito che non ne vale davvero la pena.

– E invece hanno scritto parecchio, tutti e due.

– Del resto, Sartre e Heidegger non venivano in vacanza a Rimini.

– Però ci veniva Umberto Eco, al bagno 11. L’ho visto coi miei occhi.

– Ma che c’entra?

– Stiamo delirando.

– Sarà per il sole che da ore ci batte sulla testa.

– No!… Ci siamo dimenticati di mettere il cappellino.

– Il cappellino, che noia, il berrettino.

– Basta, basta, teniamoci la sete e diciamo addio alla fontanella.

– Voltiamo le spalle bruciacchiate alla fontanella, alla passerella, agli ombrelloni, alla battigia, al mare /

– Alla noia /

– Ma no. C’è ancora noia davanti a noi /

– Ovviamente. Ti sei ricordato i sandaletti?

– I sandaletti, i sandaletti.

– Pulisci e ripulisci i piedini, in precario equilibrio su una gamba, poi sull’altra, ma un po’ di sabbia rimane sempre tra le dita /

– Che fastidio, noia, fastidio /

– Aggiriamo il Bar Azzurro, evitiamo il flipper, il juke box, il calciobalilla, l’umanità assurdamente allegra che si dà da fare intorno al flipper, al juke-box, al calciobalilla, avanziamo affiancando la lunga schiera di cabine sulla destra, le ultime tre sono cabine-cesso, poi si passa dalla casetta del bagnino, doppia e pure quella azzurra, si passa nel mezzo e sopra c’è la scritta, grande /

– Hai salutato la bagnina?

– Eh?

– Ti sei dimenticato di salutare la bagnina /

– Piccola, graziosa, bionda /

– La bagnina, il bagnino di quarantacinque anni fa, ma la scritta, grande, è sempre quella /

– Non ti voltare. Cammina, in questa luce di purgatorio, sul lungomare, è un tratto breve fino alla rotonda /

– Il giardino pubblico, il viale alberato, il brutto grattacielo che incombe in fondo al viale, l’eterno sottopassaggio pedonale, a sinistra (fa’ più in fretta) c’è la stazione, attento, non camminare sui binari, ma prendi un treno qualunque, il treno dell’addio – e via!

– Via!

Hai dimenticato qualcosa?

– Ho una strana sensazione. Cos’è questa sensazione /

– Umidiccia, sabbiosa, tra testicoli e cosce /

– Nelle mutande?

– Ma non sono mutande. È ancora il costume. Ti sei dimenticato di cambiarti /

– Il costume, il costume.

– E poi, e poi? Che cos’altro ti sei dimenticato? Che cosa, qualcosa è rimasto, per sempre, laggiù?