E’ una scrittura piacevolmente fuori moda quella di Graziano Graziani, uomo di teatro al suo debutto narrativo: elegante, sorvegliata anche nel registro colloquiale, evocatrice di un “fantastico” ben radicato nell’osservazione della realtà. L’Esperia del titolo è una città immaginaria, indefinita, inquietante, l’esplorazione dei cui “viscidi” confini è l’oggetto di un trattatello che, riproponendo un classico espediente, Graziani finge di avere trovato su un treno notturno, dopo che l’avrebbe lì smarrito un misterioso professore. La struttura è dunque quella di un saggio, ironico e solo in apparenza divagante, sul mondo comico e perturbante che ci si dischiude quando vacillano le quotidiane coordinate della nostra percezione del tempo e dello spazio: lì allignano popolazioni infide e sfuggenti come i Pixeliti, i Replèiadi o gli Allorquando; alle descrizioni dei loro bizzarri costumi si alternano storie esemplari di gente comune “sconfinata” dall’altra parte – insomma di lunatici, per usare un termine caro a Ermanno Cavazzoni. Di fatto, il libro è composto da una trentina di racconti brevi, in sé conchiusi ma ricchi di reciproci rimandi. Leggendolo, mi è successo di pensare a certo Calvino, al Cavazzoni di Cirenaica, al Fosco Maraini della Gnosi delle Fànfole (per le poesie-nonsense in chiusura di volume): sono tutti dei gran bei pensieri, ed è per questo che consiglio questo libro a chi cerchi un po’ di respiro dalla sciatteria stilistica di gran parte della nostra “nuova” narrativa. Esperia è pubblicato da Gaffi, una piccola casa editrice di Roma.