Caryl Churchill, Teatro I (Hotel; Cuore blu; Lontano lontano; Abbastanza sbronzo da dire ti amo?; Sette bambine ebree), a cura di Paola Bono, Spoleto, Editoria & Spettacolo, 2013, pagg. 218, € 18.
Le ragioni della scarsa presenza sui nostri palcoscenici delle opere di Caryl Churchill, da decenni una delle figure più rilevanti della drammaturgia anglosassone, si devono forse cercare nel radicale, coerente sperimentalismo dell’autrice, sia sul piano della struttura che sul piano del linguaggio. Churchill è difficile da tradurre, e ancor più difficile è trovare una chiave registica per metterla in scena. Ma si tratta di difficoltà che varrebbe la pena affrontare più spesso, come dimostra questo meditato e ben documentato volume, che avvia un meritorio progetto di pubblicazione integrale in italiano dei suoi drammi. La curatrice Paola Bono sceglie di scartare l’ordine cronologico, proponendo qui una selezione di lavori abbastanza recenti della drammaturga (attiva sin dalla fine degli anni cinquanta): si va dal 1997 di Hotel e Cuore blu al 2009 di Sette bambine ebree. Sono testi piuttosto o molto brevi, di intensità talora criptica e consumata maestria formale, anche nei casi in cui li anima e motiva una presa di posizione politica esplicita, diretta. Hotel, tradotto da Giorgina Pilozzi e Sylvia De Fanti, è un eccentrico libretto d’opera in due brevi parti (Otto stanze e Due notti). La stanza d’albergo in cui viene ambientato è la sovrapposizione di otto stanze identiche, i cui ospiti s’incrociano ignorandosi a vicenda: si ridà interesse al tema un po’ consunto dell’alienazione e solitudine dei nostri giorni attraverso un’invenzione teatrale di grande originalità. E’ un dittico anche Cuore blu, tradotto da Laura Caretti e Margaret Rose: L’amore del cuore e Caffettiera blu smontano, con effetti vertiginosi e spesso comici, dei comuni drammi familiari. L’inquietante, bellissimo Lontano lontano (2000), qui nella versione di Massilmiliano Farau, è una parabola in tre atti fantasiosa e crudele, che chiama in causa la nostra disconosciuta intimità con la violenza e la sopraffazione caratteristiche di guerre che ci appaiono distanti. Abbastanza sbronzo da dire ti amo? (2006), tradotto da Giorgio Amitrano, denuncia la fascinazione di molti per l’imperialismo statunitense tramite la straniante allegoria di una passione sado-masochistica tra Sam (“un paese”) e Guy (“un uomo”). Chiude il volume, nella traduzione di Paola Bono con il Laboratorio Caryl Churchill del Teatro Valle Occupato, la partitura di voci Sette bambine ebree – un dramma per Gaza: senz’altro un atto d’accusa contro Israele, ma anche e soprattutto l’ennesima, acuta esplorazione da parte di Churchill delle ambiguità micidiali del linguaggio.
(pubblicato su “Hystrio” 4/2014)