… E questa, senza alcun nesso col prima o col dopo, col sopra e col sotto, è un’altra impresa di Orazio, intellettuale apocalittico sovrappeso.

Vi ho già parlato di Orazio?

No, non ce n’era bisogno, perché Orazio basta e avanza nel parlare di sé.

Ma per questa sua impresa eccezionale compiuta in tempi eccezionali dovrò fare, appunto, un’eccezione.

I tempi sono i nostri.

Il luogo è Decandenzya, una repubblica il cui nome non lascia spazio all’immaginazione e soprattutto alla speranza.

L’impresa inizia a mezzogiorno, perché prima di quell’ora Orazio, che deve compierla, non si alza. Si rigira solitario nell’ampio letto. Il suo dormiveglia è inquieto, rumoroso; ma quei suoi ronfi, soffi, sbadigli, sospiri e altro nessuno li sente. Nessuno ne è disturbato.

La sera, la notte prima ha bevuto, mangiato troppo. Lo sa. Ma non è questo il problema. Il problema è l’eccessiva velocità del suo pensiero, che nessuna zavorra di cibo e alcool può controbilanciare. Un pensiero lucido, apocalittico, incalzante il suo, e che non ha tempo di soffermarsi ancora sull’Ottavia. Su una banale vicenda privata.

Sì, l’Ottavia l’ha piantato – e non per colpa dei soffi, ronfi e altri rumori notturni. L’Ottavia, la sola donna insieme alla quale si era avvicinato all’ideale di un’anima in due, non reggeva più lo sfrenato rigore filosofico con cui Orazio meditava, medita sempre intorno alla sua prossima opera di 924 pagine: Il Tramonto dell’Occidente Remix.

Scriveva, scrive non più di una pagina al giorno. Ma quanto pensiero, prima e dopo! Quale intensità!

Si alza, dicevamo, a mezzogiorno, rumoreggiando barcolla da una stanza all’altra dell’ampia casa. Si sciacqua la faccia, eccetera. Presto si ricorda di essere sostanzialmente incapace di farsi la colazione da sé. Con fulmineo rovesciamento dialettico, trasforma l’handicap in opportunità di relazione sociale stimolante; cioè, in parole povere, esce a farsi un cappuccino.

Indossa una tuta che assomiglia vagamente a un pigiama, o viceversa; il che, assieme a un velo di mancata rasatura sulle guance, gli dà un’aria trasandata, o meglio, per dirla con lui stesso, informale. Perché è giusto dietro l’angolo e perché gli dà modo di “sentire il polso” del più autentico popolo di Decadenzya, Orazio va sempre a farsi il cappuccino al bar Nerazzurri No Limits.

Non sa nulla di calcio.

Jack, il gestore di Nerazzurri No Limits, non sa nulla di tramonto dell’Occidente.

Sembrerebbe un dialogo impossibile, ma quei due dialogano tutti i giorni; pure oggi, che sarà il giorno dell’impresa. Orazio non ha bisogno di ordinare il cappuccio: basta il suo ingresso impacciato e sbatacchiante perché Jack metta mano alla macchinetta. Ci sono altri cinque clienti. Orazio si fa largo, molto largo, sul bancone. Ripulisce la piccola vetrina di tre brioche residue, avidamente le ingoia – muto, ma per poco.

C’è un amico di Jack nerazzurro sfegatato. C’è una signora per bene di una certa età e vestita bene. Ci sono due circa venticinquenni appartati che si guardano spesso negli occhi. C’è Valentina, la parrucchiera in pausa caffè. Fino all’intervento dell’intellettuale apocalittico, la conversazione è da ritenersi irrilevante e perciò non la riportiamo.

ORAZIO –  (masticando)  Eh… Uhm… Mmmmf… Come la vedi, Jack?

JACK –  (rivolgendosi all’amico sfegatato)  Quest’anno come minimo arriviamo in Champions…

LO SFEGATATO –  Ma che Champions e Champions… (urlando)  E SCUDETTO SARÀ!

ORAZIO –  Non ci sarà nessuno scudetto.

Silenzio di tomba. Tutti si girano verso Orazio, che con calma si lecca le ultime briciole via dai baffi.

ORAZIO –  E nessuna Champions.

LO SFEGATATO –  (tesissimo, a Jack)  Ma cos’è, un milanista?

JACK –  (diplomatico, con ampi gesti allusivi a problematiche psicologiche non di sua competenza)  No, no, è un cliente… Un po’ così…

ORAZIO –  È tutta la notte che ci penso, la nostra civiltà sta finendo, tu dal tuo osservatorio popolare come la vedi, Jack?

JACK –  Io, be’… Certo.

ORAZIO –  Più schiuma sul cappuccino!

JACK –  Okay, boss.

ORAZIO –  Bisogna goderseli, i cappuccini, perché gli avversari della nostra civiltà…

LO SFEGATATO –  (nervoso, a Jack)  Secondo me è milanista.

VALENTINA –  (impaziente, a Jack)  Me lo passi, ‘sto latte di soia?

La situazione si fa abbastanza tesa, perché sotto effetto della caffeina Orazio diventa provocatorio. La provocazione, del resto, è la sua principale missione intellettuale – e in questa chiave va letta la battuta che lancia ai due venticinquenni che si guardano molto.

ORAZIO –  E voi, là?… Perché non vi baciate in bocca? Sì, voi due, giovani d’Occidente. Perché non vi baciate in bocca facendo ruotare la lingua? Di cosa avete paura? Di qualche fanatico dalla pelle olivastra?…

IL VENTICINQUENNE –  Ma sei scemo?

LA VENTICINQUENNE –  Fatti i cazzi tuoi.

IL VENTICINQUENNE –  E comunque lei è mia sorella.

ORAZIO –  Cosa c’entra? Avete paura lo stesso, vi inventate qualunque scusa buonista per non affrontare la realtà.

VALENTINA –  Che realtà?

ORAZIO –  Ci sarà sangue nel cappuccino.

LA SIGNORA PER BENE –  (schifata)  Uh!  (Esce senza pagare.)

JACK –  (a Orazio)  Adesso basta, mi hai rotto i coglioni…

LO SFEGATATO –  … MALEDETTO JUVENTINO!

JACK –  Non puoi infamarmi il cappuccino davanti agli altri clienti.

ORAZIO –  Ma era una metafora…

JACK –  FUORI!

Orazio, offeso, esce senza pagare. Ma è proprio questa umiliazione, questa perdita di contatto con la base popolare di Decadenzya, che lo stimola a riscattarsi attraverso un’impresa.

Malgrado il sovrappeso e la mezz’età, sente di doversi mettere in gioco e a rischio anche fisicamente. Se gli intellettuali impegnati del primo Novecento andavano al fronte, il fronte per quelli come Orazio, nei nostri giorni di guerra permanente, è ogni via, ogni piazza, ogni incrocio di Decadenzya. I diversamente civili, nemici della nostra cultura, forestieri dalla pelle olivastra e non solo, si annidano ovunque, in piena luce. È giunta l’ora di affrontarli di petto, di pancia. A partire da chi?

La scelta del primo avversario non è affatto semplice. Orazio (l’avrete ormai capito) è un tipo sofisticato, mica un razzista da suburra. Simpatizza coi bassi istinti del popolo, ma volando alto. Non ci pensa nemmeno a prendersela con un forestiero di quelli palesemente poveracci, un po’ sozzi, fanatici o mendìchi. Vuole qualcuno all’altezza della sua sfida. E lo cerca, ciabattando e ansimando per le strade del suo quartiere, che è un bel quartiere residenziale in cui può permettersi d’abitare grazie all’eredità di zia Cesira e alle prospettive d’incasso dei diritti d’autore su Il Tramonto dell’Occidente Remix… L’Ottavia avrebbe voluto cambiare casa, o almeno sgombrare l’appartamento dai vecchi mobili della Cesira, in effetti brutti, ma carichi di un lascito culturale di cui l’Ottavia – frivola, frivola, frivola! – se ne sbatteva allegramente – pensa Orazio. E al pensiero dell’Ottavia gli viene una fitta al cuore, organo già provato da tassi incalcolabili di colesterolo. Si ferma. Respira a fondo. Da un negozio di gioielleria e oggettistica di cristallo vede uscire un uomo alto, sottile, elegante, con una valigetta ventiquattrore in mano. Nera. Orazio lo fissa. Il suo colorito è olivastro. L’uomo si guarda intorno.

Ventiquattrore nera, ventiquattrore nera – pensa Orazio.

L’uomo scarta di netto a destra, come se avesse appena preso una decisione irrevocabile. Punta dritto, a falcate ampie e regolari, sulla più vicina fermata della metropolitana. Orazio non esita, lo segue, a distanza di sicurezza, poi pensa: al diavolo la sicurezza! – e, letteralmente, lo tallona. Vuol fargli sentire alle spalle una sorta di presenza vigilante: così immagina possa venire percepito lo sconnesso rantolare tipico di quando cammina troppo veloce. Nel caso si apprestasse a sferrare un attacco contro Decadenzya, il forestiero è avvertito. Orazio tiene e terrà sott’occhio la sua inquietante valigetta. Ma non basta. La sua sfida è soprattutto intellettuale, culturale. Per questo, prima che l’uomo s’infili svelto giù per le scale del metrò, esclama in un buffo grammelot:

–       Hassùd valah lecalech zammadàn!…

L’olivastro si volta, con aria sorpresa e infastidita. Squadra Orazio interrogativamente, sbrigativamente; il suo piglio è da businessman che non ha tempo da perdere, ma di fronte ha un avversario che sa come fargli cadere la maschera, prendendolo in contropiede.

Orazio fa un saltello a gambe larghe, si gratta il didietro e poi si annusa la mano, fa una smorfia di disgusto e una linguaccia; dà la caccia a una mosca e se la mangia, risucchiando rumorosamente e con gusto; infine, dopo qualche altro lazzo irresistibile, si profonde in un impeccabile inchino settecentesco, come in attesa di un applauso.

Lo straniero è allibito. Per forza. La Commedia dell’Arte, di cui Orazio gli ha appena offerto un piccolo saggio in versione postmoderna, remix, non appartiene alla sua cultura.

L’OLIVASTRO –  What the fuck?…

ORAZIO –  (ricomponendosi)  Lo sapevo, non ti è piaciuto, non sei culturalmente capace di farti due risate, perché vi manca dal punto di vista storico quell’evoluzione carnascialesca di cui parlava Bachtin, hai presente?

L’OLIVASTRO –  Sorry Sir, I am afraid I can do nothing for you right now – I am in a hurry…

ORAZIO –  Cazzo parli saraceno? Lo vedi o no che siamo a Decadenzya? Che cosa faresti tu se io mi mettessi a parlare decadente a casa tua, in Saracinia?…

A metà battuta di Orazio, quell’altro è già in basso, in fondo alle scale della metropolitana. Appena se ne accorge, l’intellettuale carnascialesco si lancia, quasi rotola all’inseguimento. Malgrado non sia ora di punta, c’è un certo movimento, purtroppo. È alto il rischio di perdere di vista l’individuo sospetto. Orazio pesta piedi, sgomita su fianchi, goffamente scavalca (l’impresa in corso gliene dà licenza etica) i tornelli, si precipita giù per altre scale, entra per il rotto della cuffia nel convoglio diretto a est, verso la zona più tecnologica e trendy della città. L’avversario è salito sullo stesso vagone; siede all’estremità opposta, cuffiette alle orecchie, ventiquattrore in mano, sguardo assente. Fa finta di nulla. Fa finta di non essersi accorto dell’inseguimento di Orazio, che solo ora, col cuore in gola, comprende appieno di avere a che fare con un serio professionista dell’anti-civiltà, seriamente pericoloso, e di avere bisogno, per tenerlo sotto controllo, almeno di un alleato. O di un’alleata. Si guarda intorno. C’è una varia umanità indubbiamente inconsapevole e imbelle. Ma c’è anche lei.

Bionda, molto caucasica, una pallida e spietata creatura delle steppe – pensa Orazio.

Una modella vestita poco – diremmo noi, che non siamo intellettuali apocalittici sovrappeso.

Una nipotina d’Attila, superba cavallerizza unna dagli occhi di ghiaccio – pensa Orazio, che ce l’ha di fronte; lui in piedi, lei seduta, impettita, asciutta. Nell’interesse di Orazio, dobbiamo precisarlo, non c’è niente di lubrico, come testimonia il fatto che l’Ottavia non sia in nulla, ma proprio nulla simile a una modella così attraente. No, no, l’attrazione non è sensuale, bensì culturale: nelle poche pagine già scritte del Tramonto dell’Occidente Remix, l’autore sottolinea più volte che solo un’alleanza con gli eredi degli unni slavati e feroci può salvare Decadenzya da un’imminente estinzione. E, per colmo di fortuna, ecco lì proprio davanti ai suoi occhi un superbo esemplare… Ma non c’è tempo. Bisogna stabilire l’intesa in fretta, silenziosamente e senza destare sospetti.

Orazio punta sull’eloquenza dello sguardo, sull’inevitabile scoccare di una complice intensità visiva che telepaticamente le recapiti il messaggio: “Hey, fantastica! C’è un malvagio in questo vagone. Ha una valigetta e, dunque, un piano. Dai, dai, sventiamo il piano! Facciamolo insieme, tu e io, io e te, te e me, io, io, io, tu, tu, tu…” Per rafforzare la telepatia in corso, accompagna il pensiero con una lieve, ritmica oscillazione del bacino, avanti e indietro. Il tempo passa, le fermate anche. Tre, quattro, cinque. La prossima sarà il tecno-centro direzionale cool, probabile target dell’olivastro. La guerriera unna rimane impassibile. “Coalizione!” – pensa con urgenza Orazio – “Io e te dobbiamo fare coalizione!”; e per trasmetterle forte questo concetto unisce e sfrega mano su mano, ficca più volte il pollice della destra tra indice e pollice della sinistra e viceversa, in segno d’intima alleanza, poi l’alleanza s’allarga alle braccia, con una mano che si posa nell’incavo del gomito opposto, disegnando nell’aria un protettivo ombrello…

Tragica incomprensione culturale: senza nemmeno degnarlo d’uno sguardo, né cambiare posizione, la cosacca impenetrabile gli sferra un micidiale calcio negli stinchi, proprio un istante prima che il loro comune nemico esca veloce e disinvolto dal vagone. Non c’è tempo per chiarire, spiegarsi. Zoppicando, ululando, Orazio si gira per seguirlo, ma le porte automatiche gli si chiudono in faccia, dolorosamente. Un ragazzino brufoloso gli sghignazza a lato. Lui d’istinto tenta di colpirlo con una manata, ma quello lo schiva facendogli perdere l’equilibrio e cadere a pancia in giù sul pavimento lercio.

Secondo voi, simili contrattempi possono scoraggiare un’apocalisse d’intellettuale come lui?

Risposta giusta.

Alla fermata dopo, Orazio è già in piedi, scatta fuori dal treno, dalla stazione; eccolo per strada, che corre a gambe moderatamente levate verso il centro direzionale cool, cercando di recuperare lo svantaggio rispetto all’avversario, uscito direttamente dal metrò in un’enorme piazza circondata da traslucidi grattacieli.

In questa zona, costruita negli ultimi anni e in via d’ulteriore brillante sviluppo, si concentrano le più avanzate sperimentazioni architettoniche, artistiche e commerciali di Decadenzya. Civilmente avanzatissimo tra gli avanzati è senz’altro il concetto di uno store che si affaccia con quattro grandi vetrate sulla piazza principale: SDQP. E perciò, d’istinto, Orazio si precipita proprio lì, davanti a quel seducente luogo-non-luogo, negozio-post-negozio, tempio-fuori-tempo dell’ultra-modernità. Si fa presto a dire StorieDiQuestoPesce. Ma definirlo? Sì, è una pescheria, fornita ogni giorno di materia prima fresca dai mari e dai fiumi di tutto il mondo; ma non solo. Sì, è un raffinatissimo ristorante, in cui dodici top chef fanno a gara nel riproporre o reinventare ricette di pesce dai cinque continenti; ma non solo. Sì, è un bistrot di fascia media, dove la clientela meno benestante può gustare a prezzo accessibile e rotazione continua le specialità appena avanzate dal ristorante top; e ai proprietari di gatti si offre un innovativo Spazio Lische Fresche e Teste Tranciate, roba da leccarsi i baffi felini; ma non solo. Sì, è un supermercato ittico fashion, che promuove la cultura del gusto del pesce, il gusto della cultura del pesce, il pesce dal gusto di cultura, ibridando letteratura, performance e mangiare sano in una nuova disciplina che è anche stile di vita: lo storyfishing; ma non solo. Ogni pesce in SDQP ha una sua storia e qualcuno che la racconta a chi ha orecchie per ascoltare, oltre che bocca per mangiarlo. Ciò è straordinariamente civile e non può che generare odio nei nemici della nostra civiltà – pensa Orazio – come l’olivastro in borghese di cui ha perso le tracce.

E infatti.

Il fiuto investigativo apocalittico non lo tradisce neppure questa volta.

Quell’inquietante personaggio è in coda alle casse dello store. Con la massima disinvoltura, come se niente fosse, tiene in mano una confezione regalo di sushi narrativo, costosissimo, avvolto rotolo per rotolo in carta velina istoriata d’autobiografie manoscritte in giapponese di tonni e salmoni. Nell’altra mano, c’è la solita ventiquattrore nera. Ansimante, col cuore aritmico in gola, col naso quasi spiaccicato sull’esterno di una vetrata di SDQP, Orazio lo tiene d’occhio.

Il nemico arriva a una cassa. Porge una carta di credito dai riflessi dorati abbacinanti. Firma la ricevuta con una massiccia penna stilografica altrettanto luminosa. Si avvia verso l’uscita…

No, non esce. Si è fermato. Si guarda intorno. Perché non esce? – è tutto molto strano, pensa angosciato Orazio.

All’improvviso, si ficca sotto un braccio la scatola di sushi. Con grande rapidità, solleva a due mani la valigetta, furtivamente cincischia intorno all’apertura, armeggia…

NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!…

L’urlo disperato di Orazio squarcia il brusio cool della grande piazza. Molta gente si gira verso di lui, e lui stesso deve riconoscere che non offre un bello spettacolo. Ma intanto è riuscito nell’impresa di bloccare il gesto dell’olivastro, qualunque fosse la sua intenzione. C’è tra i due uno sguardo fugace ma intenso, che lascia il nostro paladino senza dubbi: è stato riconosciuto. Perciò quello là smette di armeggiare con la ventiquattrore e fila via dal negozio veloce, senza dare nell’occhio. Cammina spedito verso l’estremità opposta della piazza; intanto estrae un cellulare ultrapiatto aerodinamico da una tasca interna della giacca. Fa una telefonata, chissà a chi, chissà perché, mentre Orazio gli è di nuovo alle calcagna, stillando sudore e feroce vigilanza. Sbuffa. Ringhia. Bestemmia. Quell’altro accelera il passo. Sembra dirigersi verso i quarantaquattro piani di cristallo degli uffici della multinazionale Vampire Ass. H. Ora basta! È giunto per Orazio il momento d’intervenire, di tuffarsi in corsa e placcare quel pericolo pubblico alle gambe. Prende lo slancio…

Poi c’è buio.

Cioè, lui ricorda solo quattro mani potenti che l’afferrano, e poi il buio.

Torna alla luce in una saletta del commissariato di zona del Decadenzya Police Department. A quanto pare, l’hanno depositato lì due brutali agenti della security privata della Vampire Ass. H.; rischia una denuncia per molestie da parte di un potente manager saraceno della multinazionale: lo avrebbe seguito e più volte importunato mentre quello si concedeva un’oretta di shopping di lusso tra una riunione e l’altra.

Incredibile – pensa la testa ancora dolente d’Orazio – che a Decadenzya abbia problemi con le forze dell’ordine solo chi si dà da fare in difesa della nostra cultura!

Comunque, per fortuna, la denuncia non viene sporta e dopo un paio d’ore l’innocente accusato torna a piede libero, per strada.

Ma forse non è fortuna.

Orazio, infatti, ha un cugino al Ministero dell’Interno.

Riflette un po’ su questa circostanza. Sospira.

Cosa può fare di questi tempi un intellettuale apocalittico sovrappeso, quale impresa potrebbe mai compiere, senza un cugino al Ministero, a qualunque Ministero? Qualunque cugino?…

È senz’altro un argomento da approfondire e lui si ripromette di farlo presto, scrivendoci sopra un intero capitolo del Tramonto dell’Occidente Remix. Ma non adesso. Adesso ha fame. Siamo a metà pomeriggio e non ha ancora pranzato.

Il fiuto lo conduce di corsa davanti a un negozietto con l’insegna “Pizza al trancio – Kebab – Da Ahmed”.

C’è profumo di pizza. Ma anche, forse – e noi lo speriamo, mentre entra e punta il dito verso un trancio con salsiccia e patatine – profumo di una nuova impresa.