Ho iniziato questa settimana alla Scuola Holden di Torino un breve corso dal titolo Peter Pan 2010. Nei cinque incontri programmati da qui a metà dicembre metterò a confronto l’opera teatrale di J.M. Barrie (1904) con il più celebre romanzo che egli stesso ne ha tratto nel 1911, Peter e Wendy, non senza compiere qualche incursione nei numerosi successivi adattamenti cinematografici. Si tratta di un materiale di studio molto adatto ad approfondire le differenze di impostazione del “soggetto” quando si scrive per la narrativa, per il teatro o per il cinema: un argomento, questo, che negli ultimi anni sta diventando centrale nel mio lavoro didattico.

Ma l’interesse per Peter Pan va ben oltre: il personaggio di Barrie rimane un punto di riferimento indispensabile per chi voglia occuparsi dell’infantilismo contemporaneo, tema che fornisce spunti di riflessione e invenzione pressoché inesauribili. Il magnetismo inquietante di questa figura l’ha sperimentato di recente il Teatro delle Moire, con cui ho collaborato come dramaturg per Never Never Neverland, viaggio in un’Isola-che-non-c’è tutta fatta di vestiti e suppellettili di scena, nei cui confini l’infinita libertà di travestimento può tramutarsi da un momento all’altro in gabbia opprimente, luogo in cui si anhttp:\\/\\/renatogabrielli.itano responsabilità e identità. Nella fase di ricerca laboratoriale per Never Never Neverland, fondamentale è stata la rilettura di Ferdydurke, geniale e profetico romanzo di Witold Gombrowicz, di cui è cultore Francesco Cataluccio, che non per caso ha scritto l’introduzione all’edizione Feltrinelli del Peter Pan teatrale di Barrie (preziosa, quanto quella di Luca Scarlini all’edizione Einaudi di Peter Pan nei giardini di Kensington e Peter e Wendy) e un illuminante pamphlet dal titolo Immaturità – La malattia del nostro tempo.

A Gingio, alter-ego di Gombrowicz alle prese con un mondo in piena regressione adolescenziale ho cercato di rendere omaggio in una farsa appena consegnata a Connections, festival che da anni fornisce copioni nuovi a compagnie di studenti delle scuole medie superiori. Maturità mette in scena la distopia, proiettata nel non così remoto 2031, di un esame di Stato che giunge al culmine di una sorta di pedagogia rovesciata, in nome della quale professori-ragazzini immaturi e violenti  insegnano materie quali Matematica Creativa, Abuso Linguistico o Culturismo Generale. L’intento non è moralistico – di rispecchiamento, semmai. In questa farsa, come nei testi che verranno prodotti dagli studenti della Holden, vorrei che emergesse il potere di seduzione di un sogno di perpetua gioventù da cui ciascuno di noi può essere visitato.