uno spettacolo di e con Massimiliano Speziani
testo Renato Gabrielli
spazio a cura di Luigi Mattiazzi
assistente alla regia Virginia Landi
Lo spettacolo ha debuttato il 23 ottobre 2020 al Teatro della Cooperativa ed è attualmente in distribuzione.
“Estrarre la magia dal nulla, o quasi nulla: è così che funziona la vera arte. Finisce lo spettacolo e non ti rimane nulla, o quasi nulla, soltanto un senso di magia leggero e lo stupore di essere vivo, ancora.”
A Milano, in un futuro non molto lontano, davanti alle rovine di un centro per l’arte contemporanea, Ferdy, un inquieto uomo di mezz’età, intrattiene un gruppo di bambini nell’attesa dell’improbabile ritorno dal cielo, a cavallo di una scopa, di un suo amico e mentore di tanti anni fa. Quell’amico si chiama Totò, proprio come il protagonista di Miracolo a Milano di Zavattini e De Sica. Ma la storia che Ferdy ricorda, o forse inventa lì per lì, è completamente diversa da quella del film.
Totò (o la poesia) a cavallo di una scopa
di Diego Vincenti
È come se qualcuno ti prendesse per mano. Ma in maniera delicata, senza nemmeno stringere troppo le dita. E ti accompagnasse da qualche parte fuori dalle mappe. Nei territori della poesia. È un po’ questa la sensazione di fronte alla nuova avventura di Renato Gabrielli e Massimiliano Speziani, una delle relazioni in assoluto più stabili a Milano. Non soltanto a teatro. Inizio caratterizzato da atmosfere sospese. Affidate al candore istrionico di Speziani. A cui calza a pennello questa solitaria figura archetipa in bilico tra la Commedia dell’Arte e il Ferdydurke dell’omonimo romanzo di Gombrowicz, l’adolescente perdigiorno nel corpo di un adulto. Ma poi piano piano, senza scossoni, si viene sedotti da un racconto di grandissima cura drammaturgica, piuttosto curioso nell’ispirazione (il film di De Sica, i disperati che prendono il volo, che così non danno nemmeno troppo fastidio), estremamente politico nel porre al centro della scena i rapporti di classe, il confronto tra ricchi e poveri, la rabbia che cova sotto la pandemia. Una sorta di divagazione zavattiniana. Con il protagonista di fronte ai resti di un museo d’arte contemporanea che racconta a dei bimbi/spettatori la storia del Totò cinematografico. La racconta come se la ricorda. Come si fa sempre. In attesa di un suo fantomatico ritorno, a cavallo della scopa. Chissà. Certo in questo futuro non troppo distante ce ne sarebbe pure bisogno. Magari con un pizzico di cattiveria antagonista in più. Sul palco è tutto ridotto all’osso: parola, attore e spazio vuoto, oltre a una manciata di bastoni. E forse su questo ci si può concedere una riflessione, se aggiungere un paio di dettagli, un’evocazione. Così come la durata risulta piuttosto impegnativa. Ma per il resto si parla di un lavoro agile e di gran cura, che sembra tornare a una matrice originaria del fare teatro. Fra rigore e pulizia. Senza perdere lucidità nella lettura del presente.
(“Hystrio” 3/2022)