Per motivi urgenti e ampiamente condivisibili, i sindacati e le imprese del cinema e del teatro hanno proclamato uno sciopero per oggi. Oggi è lunedì. Di lunedì, com’è notorio, la stragrande maggioranza dei teatri fa riposo.
Lo sciopero del riposo. Quando l’ho saputo, ho provato rabbia. Invidia. Avrei voluto avere per primo un’idea così. Ma poi: respirazione profonda e onore al merito. Qui ci muoviamo nel solco di una grande tradizione italiana di logica post-post-aristotelica, di scavalcamento etilico del principio di non contraddizione, dalle mitiche “convergenze parallele” al geniale “auto-certificato antimafia”.
Sono d’accordo, ovviamente. Perché siamo tutti d’accordo. Secondo la medesima grande tradizione, è solo nella comune adesione all’Assurdo che si superano le divisioni e le lotte fratricide. Mi sono dunque astenuto, non saprei se dal lavoro, che non ho, o dal riposo, che non merito; comunque, ho espiato un po’ di omicidi in vite precedenti ascoltando tre ore di discorsi alla Camera del Lavoro. Detto senza ironia: alcuni discorsi erano belli.
Però c’è una cosa che mi preoccupa. E se la prossima volta qualcuno perde il controllo e si fa sciopero in un giorno di lavoro? Finiremmo per litigare tra noi – ne sono certo – e sarebbe brutto. Ma soprattutto, non possiamo permetterci che una situazione così grave diventi anche seria.