Stefano Massini, Lehman Trilogy, Einaudi, Torino, 2014, pagg. 332, €. 17,50
La tendenza, ormai consolidata nella scrittura teatrale contemporanea, ad abbandonare le strutture drammaturgiche tradizionali per esplorare forme ibride con narrativa e saggistica trova ulteriore riscontro nell’imponente trilogia dedicata da Stefano Massini alla famiglia Lehman. A gran parte di noi lettori e spettatori il nome Lehman evoca soltanto il disastroso crac bancario del 2008, che ha segnato l’inizio della crisi in cui siamo tuttora immersi; ma, come sottolinea Luca Ronconi nella sua partecipe prefazione, il testo non va all’inseguimento dell’attualità. Alla storia più recente si fa cenno, per allusioni, solo nelle scene – anzi, nei “capitoli” finali. L’abbondante flusso verbale ci guida invece attraverso oltre un secolo di storia familiare, a partire dall’arrivo dalla Germania negli U.S.A., l’11 settembre 1844, di Henry Lehman, “figlio di un mercante di bestiame / ebreo circonciso / con una sola valigia al fianco”. La prima parte della trilogia, “Tre fratelli”, narra il genio imprenditoriale e l’ascesa tenace di Henry, Emanuel e Mayer Lehman, da negozianti di stoffe in Alabama a banchieri con sede a New York. La seconda parte, “Padri e figli”, si occupa della generazione successiva, che si arricchisce attraverso investimenti nella ferrovia e nel petrolio. Infine “L’immortale”, che ha per protagonista l’ultimo grande esponente della famiglia Lehman, Bobby, racconta il progressivo spostamento verso la pura speculazione finanziaria e il collasso finale della banca. Certo, Lehman Trilogy è anche un attraversamento della storia del capitalismo e del “sogno americano”; e ha tra i suoi pregi la capacità di evocare molti ambienti e personaggi con tratti rapidi, da sceneggiatura cinematografica. Ma il quadro storico complessivo è soprattutto funzionale a esaltare il nucleo emotivo dell’opera, la sostanziale empatia con cui si narra l’ostinata trasmissione da una generazione all’altra, fino all’inevitabile disfacimento, dei valori familiari e comunitari dei Lehman. La partitura verbale di Massini non prevede l’attribuzione di battute a personaggi, lasciando libera la regia di suddividere tra più voci una narrazione in terza persona onnisciente ma tutt’altro che distaccata. Non mancano gli scambi dialogici, ma la teatralità è soprattutto garantita dalla scansione ritmica del testo e dal frequente uso di leitmotiv e ripetizioni.
(pubblicato su “Hystrio” 4/2014)