Si può cadere più in basso? Certo che sì. E’ solo questione di tempo. Basta aspettare, lamentarsi e non fare nulla. Non ci vorrà molto. Intanto, però, è difficile immaginarsi il come. Una mente umana di medie capacità stenta infatti a concepire una figura ancora più ignobile di quella che abbiamo fatto – tramite la nostra classe politica e pezzi di burocrazia e magistratura – con il cosiddetto “pasticcio kazako”. Ci sarebbe da indignarsi, no? Senonché sperimentiamo ogni giorno che l’indignazione è del tutto inutile: e proprio per questo viene incoraggiata. Proviamo allora a rifletterci sopra, dato che questo scandalo, diversamente da tanti altri, parla di noi. Rispecchia cioè fedelmente, a mio avviso, le perversioni ideologiche elementari su cui si regge il (mal)funzionamento di questo paese; e che sono ben radicate nella sedicente società civile e nelle élite culturali.
Possiamo sentire lontanissimi da noi i pirateschi salvataggi di Silvio Berlusconi, o, si parva licet, di Filippo Penati, ma nello scandalo italo-kazako, e soprattutto nel suo penoso insabbiamento, c’è qualcosa di meravigliosamente esemplare, che trova riscontro a ogni livello dell’esperienza quotidiana. Parlo dell’etica del meno-peggio e dello sganciamento del potere dalla responsabilità. Mica c’è bisogno di leggere i giornali, per rendersi conto della pervasività di tali perversioni. E’ in ogni settore lavorativo, pubblico o privato, che si accettano compromessi sempre più faticosi e degradanti, nel timore d’incombenti disastri; è fino agli scalini più bassi del potere, che si rifiuta la responsabilità o l’idea stessa di poter effettuare delle scelte, incolpando, a seconda dei casi, la Crisi, o qualche potere concorrente. Il grottesco scaricabarile tra ministri, funzionari e magistrati cui abbiamo assistito negli ultimi giorni non è che la dilatazione mostruosa di un fenomeno che si sperimenta abbondantemente nei microcosmi dell’Italietta che sbuffa e sopporta. Sbuffiamo e sopportiamo, in nome di cosa? Ma del meno-peggio, è chiaro.
La dittatura del meno-peggio è ormai così consolidata che perfino la più alta autorità statale ha apertamente invocato questo principio per difendere un governo indifendibile secondo gli standard minimi di una nazione civile. E mette davvero i brividi constatare che il presidente della repubblica, nel merito, ha avuto alcune buone ragioni. Non solo, con la caduta del governo, ci sarebbero rischi reali di tenuta del sistema a fronte del famigerato spread; ma, soprattutto, nulla lascia pensare che gli oppositori ora strepitanti abbiano alcunché di meglio da proporre, né che si sarebbero comportati in maniera diversa dai loro rivali, a parti invertite. La retorica del fatalismo e quella dell’indignazione sono due facce della stessa medaglia. Così, si scivola giù di un altro po’, con l’idea che ritrovarsi in fondo a un burrone sia meno doloroso che precipitarvi.
Io, per quel che vale la mia opinione, i pericoli connessi alla caduta di questo governo li correrei volentieri. Ma, appunto, la mia opinione non vale nulla. Si confonderà, senza che io me ne dolga troppo, col rumore di fondo dell’opinione pubblica sul web. Più in generale, esprimersi su questioni così fuori dalla propria portata è ovviamente ininfluente. Ciò che invece trovo possibile è contrastare la dittatura del meno-peggio e l’irresponsabilità del potere nei propri limitati ambiti di competenza. Da questo punto di vista, chi lavora nel mondo della cultura e delle arti ha parecchio da fare. L’ho riscritto fino alla nausea su questo blog, e mi scusino i pochi lettori affezionati, ma ritengo che il cosiddetto ambiente culturale non possa in alcun modo chiamarsi fuori dal disastro della nazione, scaricando tutte le colpe sulla politica. Riassumo i motivi, solo per titoli: effettiva contiguità con la politica stessa, specie se di pseudo-sinistra; presenza di conflitti d’interesse a livello epidemico in giornali, teatri, università, televisioni, ecc.; sistematica svalutazione della competenza rispetto all’appartenenza, del merito rispetto all’anzianità; esclusione delle nuove generazioni coperta da retorica giovanilistica; corruzione del linguaggio, che perde di lucidità in virtù dello stordente moltiplicarsi di narrazioni consolatorie.
Tanto per fare qualche esempio: avrò la percezione di un vero cambiamento in corso quando gli editorialisti dei grandi giornali illuminati o progressisti si scaglieranno per una volta non contro il politico corrotto di turno, ma contro le paghe da fame che i loro stessi padroni rifilano ai redattori precari; quando i baroni universitari proporranno di ridursi lo stipendio, piuttosto che rinunciare ai migliori ricercatori; quando, al prossimo taglio delle risorse pubbliche, i direttori dei teatri stabili metteranno sul tavolo le loro dimissioni, ma sul serio. E’ da questi e altri piccoli poteri che bisogna pretendere, giorno dopo giorno, un’assunzione di responsabilità, mettendoci la faccia – anche se è un po’ più scomodo che attaccare (che so io?) Fabrizio Cicchitto dalla propria pagina facebook. Altrimenti, al meno-peggio non ci sarà mai fine, e di fronte al prossimo scandalo simil-kazako l’unica reazione dignitosa sarà tacere, pensando: “non ti lagnare dello specchio, se il muso è storto”.