Il suo progetto è conoscermi sempre di meno, mano a mano che continua, che cresce a dismisura questa conversazione. Eppure mi era parso così cordiale, all’inizio. Mi ha perfino salutato lui per primo, e io quasi non lo riconoscevo. Ed è cordiale anche adesso, intendiamoci, pure troppo, ma di quella cordialità che esonda da se stessa per divenire qualcos’altro. Qualcosa che non riesco a definire, ma ci penso. Ho tempo per pensare, mentre lui parla.
…E niente, a Giulio io gliel’ho detto che faceva una cazzata ad accettare, ma è sempre stato uno che non riusciva a dire di no, e infatti non ci riesce mai, e niente: giocavamo a calcio assieme nei campetti qua dietro, hai presente?, sì, sì, qua dietro, lui abitava giusto dietro alla piazza e voleva sempre fare la mezzala ma era scarso, non si rendeva conto che era scarso, solo io potevo dirglielo, a me mi ascoltava, era quello il mio ruolo trent’anni fa e anche adesso gli dico tutto e lui mi ascolta, solo a me, ma comunque fa lo stesso le cazzate…
Come siamo arrivati a parlare di Giulio? Cioè di un neo-ministro della Repubblica, per le cui scelte non nutro un particolare interesse? Mi è difficile ricostruire i passaggi logici, o dialogici. Non più di mezz’ora fa me ne stavo tranquillo, non troppo infelice della mia solitudine, su questa panchina all’aperto, o sedia di sala d’attesa, o in piedi davanti a una vetrina, spostando ogni tanto il peso del corpo da una gamba all’altra – non so. Senza http:\\/\\/renatogabrielli.ita d’ingombrante in transito per la testa, e nessun programma per il pomeriggio o per la sera. A ripensarci adesso, un vero e proprio stato di grazia, che per definizione non poteva durare, e infatti
E allora?
La sua voce. La sua faccia si è imposta all’improvviso a tutto schermo nel mio campo visivo. Familiare, ma non subito identificabile, il che mi avrebbe messo in imbarazzo, se lui non si fosse presto identificato. Era ed è, in effetti, un conoscente. Per questo mi ha preso un po’ in contropiede l’abbraccio con cui ha inglobato la mia timida proposta d’una stretta di mano. Ci conosciamo così bene? – mi sono chiesto. Non mi sembrava che fossimo amici. Ma non solo gli amici o gli amanti si abbracciano, alla mia età dovrei saperlo. Il suo abbraccio è stato tiepido e breve, da Conoscente.
Quanto tempo, eh?
Mi ha chiesto allora il Conoscente, ma non me l’ha chiesto davvero, sapeva lui la risposta. Sa un sacco di risposte, almeno alle domande che continua a farmi, da mezz’ora o forse, a pensarci bene, anche di più. Ma non risulta saccente; mi sta anzi simpatico, pronto com’è ad aiutarmi nei momenti di spiazzamento e vuoto mentale, cioè quasi tutti i momenti di questa conversazione.
…Quella sera da Filippa, c’era anche Garandini, no?
E mi ha strizzato l’occhio. O mi è sembrato soltanto? Il movimento delle palpebre a destra è stato rapidissimo. Che cosa voleva far intendere quell’occhiolino proprio mentre diceva
Filippa?
Che poi, certo, di Filippa io mi ricordo benissimo, casa sua l’ho frequentata a lungo, con Filippa sì che ho avuto un’amicizia, e anche qualcosa di più, quand’eravamo giovani però, troppi anni fa – e dunque forse pensava a questo il Conoscente, quando mi ha strizzato l’occhio? Ma come fa a saperlo? Forse è in confidenza con Filippa – una tale confidenza per cui ha più memoria lui, rispetto a me, di ciò che abbiamo lontanamente vissuto assieme? Non ho fatto in tempo a chiederglielo, né a indagare in forma indiretta. Dopo pochi secondi era già passato a un altro argomento. O meglio allo stesso argomento (le nostre conoscenze in comune), passando a un’altra persona. Helmut, mi pare. O forse il prof. Nicolai. O magari –
…
Un silenzio. Per qualche secondo, ricordo, è stato zitto. Mi ha fissato dilatando lievemente gli occhi acquosi. Respirando attraverso le labbra socchiuse. Manifestando un incipiente stato d’ansia.
Non ti sto disturbando, vero?
Un riflesso condizionato d’educazione mi ha fatto scuotere la testa.
Aspettavi qualcuno?
…
Devi fare qualcosa?
No, non dovevo fare niente, qui stava il bello prima che arrivasse il Conoscente, ma come spiegarlo senza risultare maleducati? Adesso saprei spiegarlo, non è mica così difficile, ma lì per lì non mi sono venute le parole, ed è stato allora che lui ne ha approfittato per sedersi accanto a me su questa panchina, o di fronte a me in sala d’attesa, o per piazzarsi stabilmente in piedi, a gambe larghe tra me e quella vetrina che tanto m’incuriosiva – prima.
E a quel punto, niente da fare, non sono più riuscito, non riesco a muovermi, invischiato nell’intreccio sottile di bava delle sue parole, o cosiddetta rete di conoscenze. Helmut. Il prof. Nicolai. La dottoressa Marisi. Ho presto scoperto che lui non frequenta solo Filippa (e l’immagine di Filippa in intimità con lui, intimità confidenziale intendo, torna, mi si ripresenta ogni tre o quattro pensieri, insomma un po’ mi assilla), ma anche miei colleghi, gente del mio ambiente lavorativo piuttosto importante. Quell’ambiente, proprio quell’ambiente da cui credevo di essermi allontanato per una lunga o breve pausa mentale, rilassandomi su questa panchina o sedia, o pigramente occhieggiando vetrine, vacuo. E invece. Il Conoscente a quell’ambiente mi riporta – volente o nolente, che ne faccia lui stesso parte o meno. Ne fa parte? Fa dunque il mio stesso lavoro, o svolge un’attività a esso collegata? Mi pare strano – nell’ambiente ci conosciamo tutti e io sono piuttosto aggiornato, molto attento agli aggiornamenti, e sono molto sicuro di non aver sentito parlare di lui nessuno negli ultimi anni e anche prima, eppure…Dimostra una certa competenza, usa a proposito termini tecnici, collega molti nomi ai loro ruoli effettivi, dall’ultimo degli stagisti su su fino a
Floriana Beobachter
Ho sussultato, a quel nome
Floriana Beobachter
Me lo sono ripetuto in testa mentre lui andava avanti a raccontare di quella volta all’aperitivo esclusivo quando ha incontrato, già quasi ubriaca
Lei
Sì, l’inamovibile direttrice di una Struttura per cui sogno di lavorare da un paio di decenni, oggettivamente e per tacito consenso generale una vera stronza gelidamente assatanata di potere, che stento a immaginare semi-ubriaca mentre posa la fronte su una spalla del Conoscente spifferandogli segreti aziendali come se non ci fosse un domani, sì, stento a immaginarla, sicché il viso mi si contrae in un’espressione di stupore marcata, così prolungata che lui non può fare a meno di notarla.
Che c’è?
…
Ti pare strano, eh? Ma guarda che la Flory quando si rilassa fuori dall’ambiente non è la stessa Flory che conosci tu al tavolo programmatico o alle conferenze di scambi… È una persona normalissima, guarda, e niente: molto umana! Che di me si fida molto perché sono bravo a capire l’umanità delle persone e questo non lo dico io, non lo penso io, e niente: me l’ha detto più di una volta Diego Pollini, hai presente? Sì, adesso è vescovo e ha troppo da fare, ma prima (lo conosco da tanto, da prima che andasse in seminario, andavamo a fumare nei giardinetti qua girato l’angolo), eh, mi veniva sempre a cercare, Diego il Drugo, per la mia visione dall’alto: “Tu vedi le cose dall’alto – mi diceva il Drugo – anche se non credi in Dio. Ma come fai?”. E niente. La cosa più curiosa, che sconvolge tutti quando la racconto, è che – tieniti forte! – lui nella nostra squadretta giocava da terzino. E picchiava duro! Falciava caviglie e poi giù bestemmie, come se la caviglia ce l’avesse rotta lui!… E adesso fa il vescovo, pensa un po’. È la vita – e niente. Comunque se pensi che Diego fosse una schiappa a calcio è perché non hai mai visto giocare Giulio, quello era fissato a voler fare la mezzala, hai presente Giulio Cartone, sì – che venerdì scorso l’hanno fatto ministro?
Ed eccoci al ministro. Ci siamo arrivati così, più o meno, a parlare del ministro. E sta continuando a parlarne, gli dedica più tempo rispetto ad altri conoscenti. A me duole il coccige, o mi dolgono le piante dei piedi. Vorrei andarmene, ma sento che non è il momento giusto e temo che non arriverà mai il momento giusto, il che acuisce la mia consapevolezza dei dolorini articolari. Che me ne frega del ministro? – penso. E del vescovo? E di Floriana Beobachter? E invece, se ci ripenso, devo ammettere che me ne frega molto di Floriana, del vescovo e del ministro. Non vorrei essere come loro, o almeno non oso desiderarlo, ma almeno conoscerli come il Conoscente, e invece conosco solo il Conoscente, il quale viceversa più mi parla meno mi conosce, ho come la sensazione che mi cancelli dal suo giro di conoscenze mano a mano che, con andamento spiraliforme, quel giro s’innalza ben oltre, ben al di sopra del governo italiano…
Il governo italiano – diciamoci la verità, dai! – ormai non conta un cazzo. Quando voglio sapere come veramente stanno girando le cose piglio su il telefono e non chiamo mica Giulio, cosa credi? No, no, non ho tempo da perdere. E niente, chiamo Michel, no?, alla Commissione Europea. È così stressato in questo periodo. Ha bisogno di sfogarsi e lo lascio sfogare, sono sempre stato bravo ad ascoltare, perfino nelle lingue straniere che capisco poco, lui per esempio si sfoga in francese per mezz’ora e io gli faccio: “Oui, oui”. Uiuì, hai capito? E pensa che ho capito. Che poi le cose importanti alla fine le capisco: per esempio, lo sapevi che ormai neppure la Commissione Europea conta più un cazzo? E non fare quella faccia sconvolta, dai, avrai sentito parlare anche tu dei movimenti finanziari a livello globale, che al giorno d’oggi contano solo quelli. E niente. È roba difficile, neanch’io sapevo bene cos’era, finché non mi hanno presentato su una pista da sci, eravamo tutti in coda allo skilift, questo banchiere svizzero… No, scusa, scusa ma non posso dirti il suo nome, è top secret. Eppure ti garantisco che sembra un tipo normalissimo, come me e te adesso. A sciare fa abbastanza schifo. Va be’, c’è da non crederci: è lui. Quello che controlla i movimenti globali della finanza, fa girare tutto lui!… Neanch’io ci credevo, finché mi ha fatto vedere quella schermata. Sono cifre, eh? Mica opinioni. Eravamo lì rilassati a chiacchierare davanti al camino del suo chalet in alta quota e mi ha fatto vedere i grafici sul suo tablet… Ho dei testimoni, se vuoi: c’era anche Rebekka Splasch, la campionessa olimpica, e poi Harry, Harry Mandarino, hai presente il futuro Nobel per l’astrofisica?
…
…
…
Un sacco di balle. Te lo dico io. Tu ci credi alla NASA, vero?… Ecco. E invece la NASA ci racconta un sacco di balle e tutto il mondo le crede, ma non è colpa del mondo, non è colpa tua. A questo mondo se non hai le conoscenze giuste ti tocca credere alla tivù, alla NASA, alle balle che la NASA spara in tivù, ma questo non vuol dire che sei un idiota, vuol dire soltanto che non hai avuto la fortuna o magari anche il talento di conoscere Harry Mandarino…
Lo interrompo?
E niente. Mi spiace, ma non ti posso rivelare più di tanto, anche perché francamente i dettagli tecnici non me li ricordo, però non so se hai presenti quei pianetini distanti anni luce che ci hanno detto che un po’ assomigliano alla Terra?…
Adesso gli dico qualcosa…
Tutte balle!
No. Meglio aspettare.
Questa storia dei pianetini è stata inventata dagli storyteller della NASA (tra parentesi: Harry li odia – li odia!) per distrarci da qualcosa di grosso, di molto più grosso che bolle in pentola…
Mi è venuto pure il mal di pancia.
Ma la cosa più pazzesca è che tutti pensano a Harry Mandarino come al classico scienziato nerd un po’ gay e un po’ autistico e invece a vederlo da vicino ti assicuro che non è gay e fa degli scherzi da caserma stupendi, certi gavettoni!, e delle battute sessuali da scompisciarsi e quella notte nello chalet dopo la gara di rutti ha tirato fuori la sua scorta di raudi e bombette: un arsenale! E niente. E allora anche se Capodanno era passato da due mesi siamo usciti in mezzo alla neve e fiuuuu… bim! E fiuuuu… bam! Bum!
Basta!
E i fuochi d’artificio di Harry si confondevano con le stelle in quel cielo pulitissimo, svizzero e di lusso…
– Ma insomma…
Ce l’ho fatta. L’ho interrotto. Ho osato interromperlo.
Ma adesso devo dire qualcosa. Ci provo. Quasi balbetto.
– Allora… Cosa dice Harry? C’è vita nello spazio?
Il Conoscente sussulta come se mi vedesse per la prima volta in vita sua. Nello sguardo fulminante che mi scarica in fondo agli occhi non c’è solo disprezzo – o disprezzo non è la parola giusta. C’è un disconoscimento ormai compiuto, radicale. Sono inondato da un senso di vergogna. Mi vergogno di aver disturbato il Conoscente, ma anche, più oscuramente, confusamente, d’esistere. Non faccio a tempo a rantolare qualche mono e bisillabo di scusa: senza degnarmi, com’è ovvio, di alcuna risposta, lui ha girato i tacchi, oppure si è alzato dalla sedia o dalla panchina ed è già altrove, fuori portata, in un altro ambiente per me irraggiungibile.
Rimango solo, ma non come ero solo prima di incontrarlo. Umiliato. Dolorante in più punti del corpo e nella mente che pulsa. Sporco dentro. Condannato a portarmi in giro questa solitudine insozzata, contaminata dalla confidenza transitoria del Conoscente. Mi rimetto in moto attraverso la città. Cammino senza meta, sospinto da un’inquietudine perversa e contagiosa. Ripenso a Filippa.
I suoi capelli, il suo sorriso, quella mezza frase che una volta…
Ma era lei?
È passato tanto tempo. Potrebbe essere un falso ricordo, o il ricordo di un’altra persona.
Perché questo dubbio mi fa soffrire tanto? Mi dà come una fitta acuta dietro lo sterno – un coltello sottile vibra nel mio centro vuoto. Mi manca il fiato. Devo fermarmi, o perderò l’equilibrio. Quando mi fermo mi rimbalza nella testa un senso di vertigine.
Cosa sono, chi sono senza i miei ricordi?
Chi mi darà conferma che sono davvero miei?
Comincio a girare su me stesso, con cautela e molta lentezza, per guardarmi intorno a trecentosessanta gradi.
C’è sempre, intorno, la mia città, la gente della mia città. Tanta gente. Penso, chissà perché:
È una fortuna.
Sorrido. Respiro a fondo.
Gente, gente, città. Voi mi salverete.
E finalmente vedo, di spalle, un tizio che forse conosco (si chiama Pino, mi pare) – sta guardando una vetrina. O forse è seduto su una panchina, o su una sedia in una qualche sala d’attesa in cui mi sono infilato senza dover attendere http:\\/\\/renatogabrielli.ita in particolare.
Quatto quatto
M’avvicino.
Ma non è Pino, Pino me lo ricordo calvo, questo qui c’ha i riccioli biondi. Mi sa che si chiama Ambrogio? Comunque lo conosco.
Decido che lo conosco.
La voce mi esce squillante, sicura:
E allora?