Il suo nome glie l’ha dato lei, prima ne aveva un altro, ma non si può dire che fosse il suo vero nome, come del resto nemmeno questo, Paolo, che lei gli ha dato fin dall’inizio e senza spiegazioni, che lui non ha chiesto, non è mai stato nei suoi programmi chiedere spiegazioni o fare congetture, per esempio ipotizzando che così si chiamasse in un remoto passato un marito o un amante o un figlio di lei, ma con maggiori probabilità un attore del grande schermo, o un presentatore del piccolo schermo, di quando ancora gli schermi si dividevano in piccoli e grandi ed erano spessi e pesanti più dell’aria, no, il nome non è mai stato necessario, gli basta il suono della voce di Miriam per girare la testa e guardarla e avvicinarsi, da qualunque punto della stanza in cui si trovi, per verificare se abbia bisogno di qualcosa, anche solo di essere carezzevolmente, con la massima attenzione tenuta per mano da qualcuno, cioè sempre da lui, per qualche secondo, o minuto, o magari per delle ore, dipende esclusivamente dalla volontà di lei, che però non si manifesta in alcun modo, né con la voce, né con i gesti, ed è strano per Paolo, gli risulta incomprensibile la totale immobilità di questa donna, il sonno lo riconosce, ma questo non è sonno, nel sonno un po’ ci si muove e lei lo faceva spesso, certe notti gemendo a lungo, non questa notte, non adesso, in questa camera d’ospizio che lentamente si riempie di un odore che lui non avverte, non potendo del resto percepire alcun odore, tanto meno quello della morte, concetto che non appartiene alla sua dotazione cognitiva, e chi dunque lo vedesse chinarsi su Miriam, sfiorandole con dita di perfezione inumana una guancia incavata, sbaglierebbe ad attribuirgli un sentimento di compassione, o comunque un sentimento, perché Paolo è un androide serio e soprattutto reale, mica come quelli dei film di venti o trenta o quarant’anni fa, tutti alle prese con un’assurda aspirazione a emozionarsi, prendersi cura degli anziani è semplicemente ciò per cui è stato programmato, dunque si è preso cura di Miriam con una costanza e una dedizione e un’energia che per un essere umano sarebbero eroiche, ma che per lui non hanno altra implicazione se non il consumo quasi integrale delle batterie, che da tre settimana sono in riserva, e si stupisce molto, a modo suo, che nessuno venga a ricaricarle, ma non può sapere di essere un modello ormai obsoleto, dopo la Riforma che ha rimpiazzato gli androidi della cura con quelli dello sterminio, né che per puro caso solo questa stanza in un’ala secondaria di un ospizio periferico è sfuggita all’attenzione della burocrazia riformista, contro cui comunque mai si ribellerebbe, non essendo un androide da film, tuttavia agisce come se fosse in piena e solitaria rivolta, carezzando l’anziana signora, abbottonandole la vestaglia, rimboccandole poi sopra le spalle una coperta, stringendola infine tra le braccia per trasferire a quel corpo gelido e minuto un po’ del calore delle sue batterie in esaurimento, già esaurite, nella stanza senza vita, presto buia, fuori dalla quale il mondo avanza verso un futuro ulteriore d’imprevedibile ferocia.