E’ un esperimento coraggioso, il Blitz effettuato al Teatro Ringhiera dall’Associazione PPP sotto la guida di Letizia Russo e Cristina Pezzoli (in scena fino al 28 marzo): uno “studio teatrale” autoprodotto che coinvolge più di venti attori e prende di petto le premesse, il significato e le conseguenze di Tangentopoli e Mani Pulite nella storia dell’Italia contemporanea. Nei materiali presentati al debutto – che potrebbero variare, dato che si tratta di un work in progress – si alternano, con passaggi talora bruschi, vari registri di scrittura e messinscena. Una favola nera di forte impronta allegorica, giocata coralmente, introduce il montaggio creativo di materiale giornalistico (per esempio, in un duello immaginario tra magistrati e “vittime di Tangentopoli”), o la rievocazione poetica e allucinata di fantasmi della nostra storia recente (come nel monologo di Craxi, la scena che più mi ha colpito); mentre nella sezione finale torna a dominare la coralità, ma con un taglio grottescamente aggressivo e un andamento frammentario, come a dar conto della vacua violenza del tempo presente. Se una forma compiuta di spettacolo è ancora lontana, è ben leggibile già in questo studio la premessa metodologica di Russo e Pezzoli, cioè l’”adesione al punto di vista del nemico”: un rifiuto di sentirsi e far sentire il pubblico dalla parte del giusto che ha effetti spiazzanti e di sana spiacevolezza. Mi pare che in Blitz ci sia un costante sforzo di superare le contrapposizioni ideologiche, per andare alla ricerca di un filo comune, di un nesso profondo e direi inconscio tra gli italiani; niente a che vedere, però, con il “terzismo” patriottico che va di moda su certi giornali – qui si fa emergere un fondo limaccioso di settarismo e ignavia, fascinazione ambigua per il potere carismatico, falsa coscienza, memoria corta, coazione a ripetere e incapacità di seppellire i propri morti. Trovo apprezzabile che gli artisti di PPP, per affrontare questa materia incandescente, abbiamo evitato la scorciatoia della commedia (in passato specchio rassicurante delle magagne nazionali, come evidenzia S. Patriarca nell’ultimo capitolo del suo libro, da me segnalato in questo blog il 17/2), per assumersi il rischio di una scrittura scenica complessa, diseguale, ma in cui comunque sembra prevalere un senso tragico di ineluttabilità. Auguri dunque a loro per il proseguimento di questo progetto importante.