La scrittura drammaturgica come materia universitaria ha una solida tradizione in Inghilterra; in particolare, il noto autore teatrale David Edgar ha fondato nel 1989 all’università di Birmingham un vero e proprio corso in “Playwriting Studies”. Un ex-allievo di Edgar, Steve Waters, ora docente a Birmingham e a sua volta affermato drammaturgo, propone con il suo recente The Secret Life of Plays (Nick Hern Books) non tanto un manuale, quanto un’analisi delle “strutture profonde” di un’ampia messe di testi teatrali, potenzialmente utile sia per aspiranti scrittori che per studiosi o semplici appassionati. L’editore è lo stesso che ha pubblicato How Plays Work di Edgar (2009); e nella scelta delle immagini di copertina sembra sottolineare le differenze di approccio alla materia nei due saggi: due ruote di un ingranaggio per il libro di Edgar, un albero dalle profonde radici per quello di Waters. In effetti, se il maestro allinea fianco a fianco gli elementi compositivi di testi teatrali di epoche diverse, andando a individuare gli elementi comuni e i “trucchi del mestiere” con gusto artigianale, il lavoro dell’allievo ha un andamento più divagante e ambisce, facendo uso di metafore bio anziché meccanicistiche, a dimostrare che ogni commedia “è di più della somma delle sue parti”. Tuttavia, balzano all’occhio del lettore non anglosassone alcune importanti caratteristiche in comune. C’è anzitutto il presupposto della centralità del testo nell’evento teatrale, affermato in polemica non esplicita con la corrente dominante in ambito accademico, quella dei Performance Studies (si veda anche The Art of Writing Drama di Michelene Wandor, molto più chiaro e dettagliato in proposito). Entrambi i saggi hanno poi l’ambizione di riscontrare nella drammaturgia di tutti i tempi strutture comuni, fondamentalmente sorrette da un’intenzione mimetica. E’ significativa la scelta dei testi analizzati o citati a supporto di questi tentativi: centrali sia in Edgar che in Waters (che utilizza l’Amleto come filo conduttore del suo libro) sono le letture shakespeariane. All’indietro nel tempo, si salta alla tragedia greca e alla Poetica di Aristotele; in avanti, al dramma borghese di Ibsen (prediletto da Edgar) e Cechov (favorito da Waters); per dare infine uno spazio enorme alla drammaturgia anglosassone dai ’60 ai giorni nostri. Il teatro epico di Brecht è ridotto alla bizzarria ideologica di un bravo artigiano che scriveva testi funzionanti a dispetto delle proprie teorie; il teatro di narrazione, il verbatim theatre e le varie forme di testualità nel teatro “post-drammatico” sono praticamente ignorati. Quasi assente la drammaturgia contemporanea non in lingua inglese; tra gli italiani non è citato neppure Pirandello. Il limite di questa impostazione, a mio avviso, non consiste nella scelta dei testi di riferimento, ma piuttosto nella pretesa di universalità dei modelli teorici che li collegano. Ciononostante, sia The Secret Life of Plays (di cui si può ascoltare qui una presentazione, nell’intervista dell’autore ad Aleks Sierz) che How Plays Work sono letture stimolanti, ricche di spunti di riflessione, e rendono testimonianza di un ambiente culturale e pedagogico in cui il teatro, ancora, conta.