Tra le mie numerose aree d’incompetenza c’è anche la storia moderna e contemporanea, e dunque non è con piglio da recensore, ma semplicemente in qualità di lettore curioso, che mi appresto a segnalare Italianità – La costruzione del carattere nazionale, un interessante saggio di Silvana Patriarca recentemente edito da Laterza. L’autrice ripercorre l’evoluzione nei secoli (ma con particolare attenzione al lungo periodo che va dal Risorgimento al secondo dopoguerra) dello sfuggente e ambiguo concetto di “carattere nazionale”: un insieme di caratteristiche psicologiche e morali che vengono attribuite ai componenti di una nazione nel suo complesso, sulla base di valutazioni storiche, o anche etnico-razziali. Tale auto-rappresentazione collettiva, che di norma non ha solidi fondamenti scientifici, si modifica nel tempo a seconda dell’ideologia e degli obiettivi politici degli intellettuali che le danno forma nei loro scritti. Tipica del caso italiano è l’oscillazione tra un’auto-denigrazione sistematica e una volontà compensatoria di riscatto e rinascita capace di assumere pieghe di violenza delirante. Mi è venuto sovente da pensare, sfogliando il libro, a come oggi gli echi di antiche polemiche riaffiorino sotto forma di chiacchiericcio e luoghi comuni, nel confuso avvicinarci al centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia: un anniversario che si potrà davvero celebrare, a mio avviso, soltanto ignorandolo – alla larga dal patriottismo televisivo e dalla tentazione (che personalmente a tratti mi risulta quasi irresistibile) di darsi a querimonie anti-italiane. E trovo condivisibile, per quanto forse venata da wishful thinking, la conclusione della Patriarca:
“I discorsi sull’identità e sul carattere nazionale tendono a rafforzare separazioni e distinzioni. Il fatto stesso di enfatizzare un carattere distinto, anche se questo carattere è un repertorio di vizi, e un passato comune, anche se quel che si racconta è una storia di fallimenti, esclude necessariamente chi non è nato sul suolo della nazione o non discende da coloro che vi nacquero. Le sfide dell’Italia multiculturale che viene emergendo richiedono nuovi vocabolari e nuove forme di discorso pubblico, meno autoreferenziali e più aperte al mondo esterno. La creazione di una società più inclusiva e più aperta non sarà possibile senza una riconsiderazione critica di vecchi miti nazionali e abitudini discorsive.” (pp.277-8)
A tale “riconsiderazione critica”, Italianità dà senza dubbio un rilevante contributo. Quanto alla “creazione di una società più inclusiva e più aperta”, non si può dare certo per scontato che sia un obiettivo largamente condiviso. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.