Ci eravamo semi-addormentati, qui a Milano, a forza di dirci tra noi, sottovoce e malvolentieri, che nell’ultimo anno, almeno nel settore delle arti, è cambiato poco o nulla. Il “noi” si riferisce a molti lavoratori dello spettacolo che hanno appoggiato con convinzione la candidatura a sindaco di Pisapia. Certo, in tempi come questi anche solo proteggere cultura e istruzione dai tagli rappresenta uno sforzo politico da non sottovalutare; e sarebbe puro qualunquismo mettere sullo stesso piano la giunta cittadina e l’inqualificabile governo della Lombardia. Però, insomma, non possiamo spacciarci da soli come cambiamento quella che appare con tutta evidenza una semplice limitazione dei danni.

E’ una scossa salutare quella che hanno dato alla città i colleghi, giovani e non, che il 5 maggio hanno occupato la Torre Galfa, fondando  Macao. Si tratta di un’iniziativa che solo superficialmente assomiglia alle occupazioni dei “vecchi” centri sociali. Le persone che hanno investito con generosità tempo ed energia per ridare vita a uno spazio abbandonato suggestivo e altamente simbolico, ma di difficilissima gestione, non sono rappresentanti di una cultura alternativa. E’ gente che, in buona parte, ha già operato con competenza nei circuiti culturali “ufficiali”; circuiti in cui la crisi economica sta aumentando la precarietà di molti e il potere corporativo di pochi. L’apertura di spazi autogestiti, dove vengono azzerate le rendite di posizione, è una reazione vitale, che può parzialmente compensare l’immobilismo non solo della politica, ma della società civile.

Ma ieri mattina è avvenuto lo sgombero della Torre Galfa, chiesto dalla proprietà e rapidamente eseguito della prefettura dopo che il sindaco, con una sconcertante ammissione di debolezza politica, aveva dichiarato la propria incompetenza in materia. La sensazione diffusa è che gli eventi delle ultime due settimane abbiano trovato del tutto impreparata e divisa la giunta comunale. Pisapia alla fine ha provato a metterci una pezza, intervenendo di persona all’assemblea di Macao; però la promessa di mettere a disposizione della cultura e della creatività nuovi spazi, a partire dall’ex-Ansaldo, è parsa a molti tardiva e un po’ forzata. Forse la politica non ha compreso che un movimento di questo tipo – analogamente a molti altri che si stanno sviluppando in tutto il mondo – non pone il problema degli spazi, ma si appropria degli spazi per affrontare problemi.

So che alcuni abitanti di Macao non riconoscono il valore della democrazia rappresentativa. In effetti, ultimamente non sta dando buone prove di sé. Ma io, tutto sommato, ci credo ancora e prendo spunto dalla “sveglia” suonata in via Galvani per dare qualche suggerimento alle persone che ho contribuito a eleggere. Si tratta solo di un paio di proposte, modeste e a costo zero, per aiutare a dare un segno di effettivo cambiamento nel settore in cui lavoro, quello del teatro. Come ho già avuto modo di argomentare altrove, il sistema teatrale milanese presenta alcuni esempi di eccellenza dal punto di vista organizzativo, ma nel suo complesso è molto, molto conservatore. Da quando ho iniziato a lavorare (verso la fine degli anni ottanta) a oggi, ricordo pochissimi cambi al vertice dei più importanti teatri della città; cambi quasi sempre motivati dal decesso dei titolari. Per gli artisti indipendenti, per le compagnie teatrali senza “casa”, o per quelle con una “casa” piccola o decentrata, la sopravvivenza è sempre stata dura. Il problema, a mio avviso, non è tanto la precarietà – in fondo connaturata al mestiere che ci siamo scelti – quanto l’asimmetria nella condizione precaria: il potere insensato di chi è, semplicemente, arrivato prima. Non intendo lamentarmi, né portare avanti una contrapposizione manichea tra realtà produttive piccole e grandi; si trova dell’ottimo e del pessimo in tutte le dimensioni. Basta il che il pessimo non si faccia scudo dell’ottimo, come spesso accade quando nulla cambia. Ma ecco le proposte.

  1. Le convenzioni. E’ noto che Milano ha una bella tradizione di sostegno ai teatri, attraverso un sistema detto di “convenzioni”; mi risulta che sia in corso un lungo processo di revisione di tale sistema. Ebbene, non sarebbe il caso di approfittarne per azzerare o ridurre ai minimi termini il criterio di “storicità” che concorre a determinare l’assegnazione dei contributi? Il teatro avviene nel presente. Venti, trenta, o cent’anni di tradizione sono importanti, solo se messi a frutto, trasformati in energia pulsante ora. Si mettano a confronto risultati artistici, trascorsi gestionali e progettualità guardando all’oggi, senza gerarchie precostituite. Non si tema di togliere a chi ha già, se opportuno – ovviamente spiegandone il motivo. Siano resi trasparenti e accessibili a tutti,  nei dettagli, i bilanci dei teatri sovvenzionati. Non è più tempo di privacy, se si parla di denaro pubblico.

Con questi elementari accorgimenti, Milano darebbe l’esempio al resto d’Italia, magari stimolando all’auto-riforma un establishment teatrale che sta attraversando la crisi con cinismo gattopardesco. Sarà che l’età mi rende malizioso, ma ho l’impressione che perfino la nascita di un circuito di teatri occupati venga tollerata nella prospettiva di rafforzare lo status quo: basta che i bencomunisti di turno stiano lontani dal FUS. Per il resto, sfoghino pure gratis il dissenso e consentano a qualche artista di sinistra altrove lautamente pagato di sciacquarsi la coscienza civile.

  1. Expo 2015.  A quanto pare, si farà davvero. Ancora stento a crederci; comunque, va bene così. C’è una grande aspettativa di rilancio economico della città, intorno a questo evento. E’ dunque venuto il momento che gli enti finanziatori di Expo, Comune in testa, rendano noto quali sono le risorse disponibili per le iniziative culturali, e secondo quali criteri verranno assegnate. Se ci saranno dei bandi – com’è avvenuto in passato per iniziative di sensibilizzazione sui temi dell’Expo – mi aspetto che siano diffusi con un anticipo congruo rispetto alla scadenza, e prevedendo una dotazione monetaria dignitosa per i vincitori. Il cammino verso Expo è una grande occasione per affermare e applicare principi di trasparenza; e non solo nel settore delle costruzioni. Cominciamo adesso?

Ecco, lo so, sono proposte un po’ grezze, nemmeno troppo originali, e  tutte da migliorare e raffinare. Ma, insomma, spero che lo spirito con cui le ho buttate giù si sia compreso. Se il vento non cambia quanto vorremmo, bisogna soffiare più forte. E intanto, grazie per la sveglia e lunga vita a Macao.