Appunti di lettura – La tv che non c’è
Ho conosciuto Gilberto Squizzato, giornalista, autore e regista televisivo, nove anni fa, quando mi ha chiamato a collaborare alla sceneggiatura della serie La città infinita. Non mi ci è voluto molto per capire di essere capitato in una situazione felicemente anomala. Per aiutarlo a descrivere l’evoluzione di Milano (la “città infinita” del titolo) all’alba del nuovo millennio, Squizzato aveva voluto un drammaturgo milanese alle prime armi televisive, piuttosto che gli sceneggiatori navigati che gli suggerivano dall’alto. Non mi stava facendo un favore personale, dato che non ci conoscevamo, ma semplicemente applicava uno dei principi del suo lavoro: offrire opportunità al più ampio numero possibile di artisti e tecnici legati al “territorio”. Uomo di onestà intellettuale pari solo alla caparbietà, già allora Squizzato navigava controcorrente nel mare magnum della Rai. Valorizzava le maestranze interne, contro la tendenza ormai già consolidata ad appaltare a società esterne le principali produzioni; raccontava Milano e la Lombardia in docu-fiction a basso costo, mentre il federalismo televisivo sbandierato dai politici rimaneva mera chiacchiera, in un’azienda sempre più romano-centrica; non traduceva il suo impegno di sinistra nell’appartenenza a cordate di potere e quote protette.
Dal 2005, dopo aver realizzato tredici serie televisive, alcune delle quali premiate con importanti riconoscimenti, Squizzato, non trovando più spazio nella Rai della fiction nazional-popolare, è tornato a fare il giornalista a tempo pieno. Va dunque a suo onore che in questo libro lucido e avvincente (La tv che non c’è – Come e perché riformare la Rai, edito da minimum fax) eviti l’auto-commiserazione e i toni apocalittici, inquadrando invece la propria vicenda professionale nell’ambito di una ricostruzione storica complessiva, dura nella denuncia del malcostume ma aperta alla speranza e alla proposta.
Mi hanno colpito in particolare la ferma convinzione di Squizzato – vero cardine di tutte le sue argomentazioni – che la Rai debba e possa realizzare la sua vocazione mai compiuta di “servizio pubblico”; e la fiducia che un nuovo sistema di regole (la “riforma” da lui a grandi linee tracciata nella seconda parte del libro) possa in effetti incidere su un sistema di connivenze e favoritismi che proprio sull’aggiramento delle regole si basa e prospera. A ben vedere, anche noi teatranti, alle prese con i selvaggi tagli di fondi alla cultura, ci ritroviamo a difendere un teatro pubblico che pubblico fino in fondo non è mai stato; e a doverci immaginare un futuro di regole condivise, in controluce a un presente di confusione normativa, ribellismo retorico e asservimento alla bassa politica.
Quel che ci ricorda questo libro è l’importanza del linguaggio. Non approfondisco qui i contenuti della riforma proposta da Squizzato, anche perché la mia competenza nel settore è limitata; ma osservo che è scritta in buon italiano, comprensibile, coerente, realistica e razionalmente motivata – e già questo è un bell’opporsi alla neo-non-lingua criptica, vaga e sgrammaticata che il potere spesso ci infligge nelle sue leggi e regolamenti. Più i tempi si fanno oscuri, più il semplice parlar chiaro assume il peso e valore di un’azione.